Quel che resta qui intorno
Ci sono storie che trascinano
nell’abisso tutto ciò che trovano sulla propria strada. Storie personali che
diventano collettive e che si incrociano senza mai incontrarsi direttamente, ma
soprattutto storie che riflettono i mali del tempo in cui viviamo e non
prevedono alcuna risalita dagli inferi, che quell’abisso stesso contiene. Per
esempio la storia appena raccontata da una madre ai carabinieri di Moncalieri,
alle porte di Torino, che si sono definiti “increduli” talmente è orrenda. Una
madre che reclama giustizia per un figlio disabile il quale – se i fatti
saranno confermati dalle indagini in corso – sarebbe stato sequestrato da altri
quindicenni come lui, la notte di Halloween, per essere poi seviziato, abusato,
umiliato e infine abbandonato il mattino dopo come un oggetto inutile e non più
funzionante. Un orrore incrociato dalla storia di un altro genitore – un padre
– che sempre nelle ultime ore, in provincia di Messina, interpretava invece la
giustizia come una resa dei conti, accompagnando in macchina i figli appena
maggiorenni ad esercitarla. Una giustizia balorda almeno quanto lui e i suoi
due ragazzi, riusciti persino a sbagliare il loro bersaglio, uccidendo per
errore un altro giovane sempre di 15 anni, colpevole solo di trovarsi nel bar
sbagliato al momento sbagliato. Due storie che ne seguono altre, assai analoghe
quanto recenti, che saranno sicuramente seguite da altre ancora, assai prossime
quanto analoghe. Tenute insieme, tutte quante, da un collante che si chiama
disadattamento sociale e che coinvolge – distinguendo però sempre le vittime
dai loro carnefici – tutte le parti in causa. Un disagio di cui, in questi
giorni, si è fatto testimonial d’eccezione un signore di quasi 90 anni, che
sembrerebbe impossibile includere tra i tanti «Fuori posto, che non si
sentono mai a casa». Così si autodefinisce, infatti, Anthony Hopkins alla
vigilia dell’uscita in anteprima mondiale di “Ce l’abbiamo fatta, ragazzo”: l’autobiografia
che l’attore due volte premio Oscar ha appena annunciato in una
intervista rilasciata alla BBC. Una storia davvero lontana da quella che si può
immaginare per un Pari d’Inghilterra, iniziata quando invece era ancora soltanto
un bambino disadattato del Galles più povero. «Quello che nessuno voleva in
squadra – racconta sir Anthony – sempre deriso dai compagni. Che tutti
chiamavano testa d'elefante ed era spesso picchiato dagli insegnanti». Una
storia in grado di condurlo ai limiti estremi dell’auto-disistima; ancora
presente in quel suo ricordare che gli davano del «cretino» e capace di obbligarlo,
a distanza di 80 anni, ad aggiungere un laconico «e forse lo ero». Una storia,
dice, che rende «rabbiosi». Refrattari addirittura a un successo professionale meritatissimo,
ma che il protagonista del Silenzio degli innocenti attribuisce invece a
fortuna, o a un non meglio precisato destino.
Ai margini di un’autodistruzione derivata dall’abuso di alcool, ma
ricordata alla soglia del suo finire di vita, come una sfida vinta in maniera
solo apparente. Una soddisfazione subito mitigata dal riconoscere la propria
inadeguatezza di padre. «È la mia ferita più grande», riferisce l’attore a
proposito del suo abbandono della figlia quand’era bambina. «Le ho fatto del
male» si è trovato a recitare recentemente, nell’analoga parte di Lear
(foto). Capendo però subito – spiega - come in realtà non si stesse riferendo alla figlia fittizia
pensata da Shakespeare, bensì alla sua, assai più concreta, Abigail. In un
crescendo di consapevole rassegnazione, accomunabile alle troppe storie di
ordinario fallimento sociale di cui abbondano le cronache di queste ore. Infinite,
sempre uguali e senza speranza. «Alla fine siamo solo di passaggio – conclude Hopkins
- Litighiamo per le idee, ma un giorno saremo tutti morti». La banalità dell’ovvio.
O forse soltanto di quel poco che oggi, per tutti, dovrebbe contare davvero, tra
le ultime luci di quel che resta del giorno.

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