Liceo Pol Pot
Lo giuro: avevo deciso che non avrei mai trattato questo argomento, talmente mi fa incazzare. Ho resistito fino a oggi, confortato anche dal fatto che un colosso della sociologia come Chiara Saraceno, nei giorni scorsi, sulle pagine de La Stampa, avesse sorriso sull'ipotesi che la scuola italiana – stando alla vulgata dei “ribelli muti” all’esame di maturità - sia poi così competitiva. Finché, sempre sullo stesso giornale, proprio questa mattina ho cozzato contro la foto in prima pagina (!) – più un’altra mezza all’interno (!) – riproducente l’espressione … di un diciannovenne romano che denunciava di aver «messo da parte il (proprio) benessere mentale (mica cazzi!)» per colpa di «un sistema scolastico alienante e cieco». È stato lì che ho sentito come una sorta di “chiamata”, cui non ho potuto resistere. Decidendo così di dargli una mano. Caspita, mi sono detto, dev’essergli successo qualcosa di davvero grave per maturare una scelta tanto drastica. Perbacco, per mettere da parte la salute mentale al punto da scrivere al ministro – cosa che ha fatto – chiedendo addirittura di abbassargli il voto finale di maturità: un 83, in modo da diplomarsi col minimo di 60, chissà cosa potrà mai avere subito in tutti questi anni. Angherie da parte dei docenti? Punizioni corporali? Umiliazioni del tipo in ginocchio sui ceci dietro alla lavagna? No. Peggio. «Lo scorso dicembre – racconta con una voce che si immagina ancora scossa, colui che si appura essere stato per ben tre anni (si presume obbligato, non si sa se con minacce, o percosse) il rappresentante degli studenti - avevo parecchie insufficienze. Quindi – ed è qui che si materializza il suo calvario – mi sono messo a studiare». Troppo? Neanche per sogno, perché prima ancora di chiedermi dove fosse la Magistratura, mentre questo giovane subiva alienato la cecità ottusa di una realtà più simile a un campo di rieducazione cambogiano, che non a una scuola dove qualcuno si permette, addirittura, di pretendere che uno studente sia costretto a studiare – a studiare! Uno studente! - per recuperare i brutti voti, ho voluto appurare le conseguenze di questa aberrazione didattica. «Ho messo da parte il mio benessere mentale (mica cazzi bis!) – confessa il ragazzo – Mi sono caricato di ansia e di stress». Eccheccazzo, no eh! Con queste premesse va da sé di dover considerare un azzardo anche solo l’ipotizzare che esista un futuro. E invece no, perché sopravvissuto alla deportazione morale di un esame di maturità talmente iniquo da far sì che il voto venga «prima della salute», questa vittima del sistema forse non a caso si iscriverà a psicologia. Ma attenzione, nessuno sconto e meno che mai un dubbio sulle priorità salutiste. «Cercherò di mettere sempre al primo posto – chiosa, più previdente che speranzoso il neo maturato – il mio benessere mentale (mica cazzi tris!) rispetto a un trenta». Per poi concludere che è «meglio finire l’università sei mesi più tardi, che non trascorrere tutte le sere piangendo e stando male». Tutte le sere? Ecco perché da quando esiste l’università in Italia sono a migliaia gli studenti che si laureano fuori corso, non di sei mesi, bensì a volte di sei anni! Per scongiurare le malattie, in un’opera di auto prevenzione che supera persino i dogmi della medicina cinese. Certo, sia detto nella banalità del diritto amministrativo: resta il rammarico di dover precisare a chiunque ne avesse interesse, che purtroppo il voto finale dell’esame di maturità, regolarmente attribuito da una commissione ministeriale, difficilmente possa essere abbassato, per così dire, “a domanda”. Ma questo, probabilmente, l’aspirante martire del liceo Pol Pot di Roma già lo sa.

Commenti
Plaudo alla tua sensibilità e solidarietà nei confronti di questo povero giovane costretto a logorarsi la salute per studiare senza nemmeno la soddisfazione di vedersi abbassata la media...
Benché bieca reazionaria conservatrice, mi sento colpita nell'intimo da tanta sofferenza.
Nadia Mai
Vero, ma purtroppo non siamo tutti uguali. C'é chi studia con facilità, ansioso di apprendere, e chi non vuole o non ce la fa. Certo, per chi non ce la fa, è dura. E' il problema della società umana, impostata sulla competizione individuale, che si trasforma in quella collettiva (gli Stati). La discriminazione che ne consegue porta alla gerarchizzazione sociale, che affligge umani e nonumani. Fermate il mondo, voglio scendere, dice il nostro studente. Allora, forse, non è ancora abbastanza 'maturo', nonostante il bel voto. Che tristezza.
Il fatto che i giovani in generale si adagino o vivano di pappa fatta è anche in parte colpa di una società ottusa e malpensante.
Forse valorizzando veramente le eccellenze avremmo più aspettative per una classe dirigente futura che possa far crescere questo Paese sempre in debito soprattutto con se stesso.
Dobbiamo crederci!!!