Né Rambo, né rinco

 

Era arrivato a Firenze nel 2023, destinato a un Comando che spetta solo ai migliori. Ma per il generale Pietro Oresta, la strada, era cominciata in salita. Neppure un anno dopo, infatti, il neo comandante della scuola marescialli e brigadieri dell’Arma dei Carabinieri, si era trovato a gestire il corpo senza vita di un’allieva che se l'era tolta per ragioni che qui, almeno, non si ha il diritto di giudicare. Una tragedia che Oresta, già lontano dal gergo circostanziale che si usa in questi casi, aveva affrontato con le parole che si addicono a un padre, prima che a un militare. «Profonda disperazione» era ciò che aveva dichiarato di provare. Una morte non isolata, purtroppo, che resta subdolamente sempre in agguato nei luoghi dove le regole e la disciplina, per quanto dure, a volte all’apparenza assurde, rimangono una componente indispensabile a poter svolgere il proprio lavoro – che non è un comune lavoro - dopo la formazione. Una media di una persona ogni sei giorni, stando ai dati forniti dall’Osservatorio permanente interforze sui suicidi tra gli appartenenti alle Forze di Polizia, per un totale di 275 suicidi nell’ultimo quinquennio. 121 di questi tra i militari delle Forze Armate, dei quali ben 78 tra i Carabinieri, dove il gesto estremo costituisce al momento la seconda causa di morte. Dati terribili, che – a meno di volersi nascondere dietro a un dito della propria mano – è noto derivino da un malessere diffuso che riguarda, in origine, tutti gli individui. Accentuato in alcuni però, com’è del tutto ovvio che sia, dai condizionamenti esterni legati al proprio vissuto individuale, quando questi li aggrediscono in un momento di particolare fragilità. Che fare? Una domanda all’apparenza troppo grande per chiunque, figuriamoci per un carabiniere il cui motto resta pur sempre quel “Nei secoli fedele” che, costantemente avvolto di retorica, dice tutto senza però spiegare nulla. «Fedele a chi?  - è probabile che si sia chiesto il “padre disperato” Pietro, mentre pensava al discorso ufficiale che avrebbe invece dovuto pronunciare “l’impettito generale” Oresta, la domenica successiva, in occasione del giuramento solenne dei neo sottufficiali dell’Arma giunti a fine corso. «Fedeli alla gente» è possibile si sia risposto. Quella stessa gente in mezzo alla quale la figura del carabiniere è stata tramandata. Personaggi autorevoli e rassicuranti, che abbiamo riconosciuto e approfondito nei Racconti del maresciallo di Mario Soldati, o nei vari Pane, amore e … vivendoli come dal vivo, grazie all’immensità di attori come Turi Ferro e Vittorio De Sica. Per questo domenica scorsa papà Pietro, indossando la divisa del generale Oresta, deve aver ritenuto un obbligo morale quello di spiegare ai giovani che gli stavano davanti, che «Aiutare un anziano ad attraversare la strada ha più impatto sulla gente, che non trovare 200 chili di cocaina e arrestare 20 persone». Quale carabiniere – molti dei quali genitori commossi di quei marescialli schierati – avrebbe potuto negarlo? Solo un sepolcro imbiancato avrebbe potuto – e lo ha fatto – dubitare che aiutando l’anziano, quel carabiniere non avrebbe esitato a rischiare la vita se attraversando la strada quel medesimo anziano fosse stato aggredito. «Quando arriverete in caserma – ha proseguito il comandante – cercate subito una palestra e un centro benessere, poi farete il resto». Solo un sepolcro imbiancato avrebbe potuto – e lo ha fatto – leggere in quelle parole un invito al menefreghismo dei propri doveri, piuttosto che l’appello a una benefica normalità nei comportamenti sociali e familiari, tale da garantire la dovuta lucidità nei momenti drammatici che quel mestiere – che non è un comune mestiere – comporterà. Nell’incapacità di capire quale dei due fosse il più pericoloso, li hanno rimossi entrambi, il padre Pietro e il generale Oresta, con tanta fretta da non designare ancora neppure il sostituto al comando della Scuola. Batman, Robin, Rambo … - aveva chiosato infine il generale in un veemente ribadire la necessità di ritorno alle origini umili, ma efficaci dell’Arma – non ce ne frega niente. Una preoccupazione forse eccessiva, la sua, considerato che ai vertici della quarta Forza Armata sembrerebbe non esserci alcuno di quei tre. Per ritenere che per risolvere un problema si debba rimuovere chi lo denuncia, del resto, non servono i Rambo, bastano e avanzano i rinco.

Commenti

Pierluigi Raffagnato ha detto…
Premetto che sono d'accordo sul fattore scandaloso di esonero, nel confronto del generale Oresta, e la tua azzeccata analisi paterna e familiare che hai descritto egregiamente; tuttavia, mi corre l'obbligo di arrivare ad un'analisi attenta e dettagliata del perché, ciò che ha detto, è moralmente giusto ma istituzionalmente sbagliato.

Ricordiamo che cosa rappresentano i carabinieri: un corpo d'élite, che serve a comportarsi in modo attento e in parte autoritario, svolgendo pratiche di ordine pubblico, sicurezza, polizia giudiziaria ed è composta principalmente, da militari.

Non ho bisogno di spiegarti che cosa vuol dire essere militare; ma limiterò a dire che servire militarmente il tuo paese, denota un particolare servizio, dove tu poni "la tua vita" al servizio del "benessere del tuo paese, o della tua patria". Essere un militare, in sostanza vuol dire dare la propria vita per il bene del paese.

Mio padre, sergente di caserma, mi spiegò con esempi il pensiero quadrato di chi vuol sentirsi dire "hai ragione", se si trattava di qualcuno che era di grado più in alto, rispetto al tuo. Ed è ovvio che, nel caso di Oreste, sentir dire che "la tua vita è più importante di qualsiasi istruzione o procedura" rigetta del fango nei confronti dell'arma dei carabinieri o da chi ti ha insegnato determinate azioni per difendere il tuo paese. E come i nostri genitori ci hanno insegnato, non si sputa nel piatto in cui si mangia: Oreste è stato cacciato; scelta moralmente sbagliata, ma istituzionalmente giusta.

Inoltre, mi corre l'obbligo di ricordarti dell'ipersensibilità dei giovani d'oggi: siamo molto più sensibili, più inclusivi e più aperti come società, riconoscendo l'autismo come disturbo ufficiale (2015), e altre forme di sindromi che sono considerate come categorie protette. Ho la sensazione che qualche militare che effettua un insano ed estremo gesto, è perché è combattuto dall' essere una macchina senza sentimenti, o è semplicemente oppressa da regole, codici e comportamenti che neanche i propri genitori o tutori hanno provveduto nell'insegnargli; o ancora, è coperto dalla vergogna del bullismo interno o della figura d'orgoglio che facessero, se considererebbero di mollare tutto e tornare a casa.

È un mondo triste, ingiusto, egoista e malsano, purtroppo. E quella di esonerare il generale Oreste, è stata principalmente una scelta moralmente sbagliata. Ma come mi hai ben fatto notare tu, il fatto che bisogna rispettare la Costituzione (nonostante figure istituzionali al potere se ne infischiano ampiamente), bisogna anche rispettare, per quanto alle volte scorretto o ingiusto, il comando e il codice dei carabinieri.
Massimo ha detto…
La questione sollevata dalla vicenda è complessa. Il senso di appartenenza e il dovere sono parte fondante di un’istituzione come il corpo dei Carabinieri, ma lo sono di molte altre istituzioni e servizi dello stato.
Il benessere individuale dovrebbe in parte (anche rilevante) essere costituito da quegli stessi elementi che sono parte fondante dell’istituzione. Se i suicidi sono in aumento forse non è solo questione di fragilità o peculiarità generazionali. Il suicidio è solitudine e dolore mentale, la solitudine è data dal senso di non-condivisione, di non-appartenenza. Si può sopportare anche molto, se non si è soli, si può sopportare anche la contraddittorietà di ordini o mandati, dare ragione ai superiori, fare il proprio dovere, dal combattere il traffico di droga, al far attraversare la strada ad un anziano, diventa più difficile farlo da soli, se il senso di ciò che si fa e si è si perde, magari non solo in un individuo, magari in un gruppo e ciascuno trova la sua risposta, anche a costo di non poter condividere più nulla con il gruppo con cui si lavora, anche a costo di lasciare solo chi continua a credere nel proprio ruolo. A volte è proprio lo Stato a lasciare solo chi lo serve, dando per scontato che basti il principio a sostenere tutti, anche a fronte di un ruolo socialmente svuotato di riconoscimento e mal pagato (in un mondo in cui fare il proprio dovere per pochi soldi per i più non è da eroi, è da scemi).
Maurizio Scordino ha detto…
Invitare i propri sottoposti a non dimenticare mai di rimanere esseri umani, prima di qualsiasi altra cosa, non viola alcuna legge, né regolamento e tanto meno la Carta Costituzionale. Anzi ricalca lo spirito dell'art. 52 che vede le FFAA uniformate allo spirito democratico della Repubblica. Sono i comandanti come Pietro Oresta, quelli per i quali si è disposti a dare la vita. Che non è una cosa così scontata. E non dico altro.
Nadia L. ha detto…
Sono d’accordo con ciò che hai scritto sia nell’articolo sia nel commento.
Il quadro tracciato dal sig. Pierluigi è di una istituzione militare fredda e razionale più attinente all’Esercito che non ai Carabinieri. Ha correttamente presentato della Benemerita il dovere di fedeltà allo Stato e la dedizione alla collettività al di sopra del singoli interessi personali. Ma proprio perchè sono anche al servizio dei cittadini e della comunità, i Carabinieri devono avere quelle doti di empatia e discernimento che ad un soldato addestrato solo alla guerra non vengono richieste. E come dice il sig. Massimo: “il benessere individuale dovrebbe essere costituito da quegli stessi elementi che sono parte fondante dell’istituzione”. E così in fondo è sempre stato: nell’Arma tra i doveri e valori ci sono sempre stati anche il prendersi cura non solo dei cittadini, ma anche degli appartenenti all’Ordine e delle loro famiglie. L’Arma stessa è sempre stata una famiglia, magari non intesa come quella del Mulino Bianco, amorevole, accondiscendente e calorosa, ma di certo rassicurante, protettiva e di saldo sostegno. Un corpo per essere forte deve mantenere efficienti le sue singole parti. Questo almeno era ciò che avveniva nei tempi d’oro.
La vicenda riportata e pure le statistiche denotano dunque una doppia sconfitta di tale istituzione nella forma attuale: il mancato supporto psicologico per i propri membri e il ripudio di chi sollecita un ritorno ai tempi di coesione e sostegno interni.
E aggiungo che la constatazione di una maggiore sensibilità e fragilità nel tessuto sociale e dei singoli, seppur vera, non dovrebbe sostenere un irrigidimento nei confronti di chi appartiene all’istituzione dell’Arma, ma dovrebbe sollecitare anzi un maggiore impegno e responsabilità da parte dei vertici decisionali nel colmare certe lacune.

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