Una vicenda di merda
Proprio ieri, per
quanto ne comprendessi il senso, biasimavo un commento inserito in calce all’ultimo
post sul massacro di Gaza, che accomunava genericamente gli “Arabi” quali
persecutori di Israele. Arabi dei quali esistono invece milioni di persone per
bene, che vivono ormai in tutto il mondo e che nulla hanno a che vedere coi
criminali di Hamas. Poi, nel pomeriggio, la notizia dell’aggressione in un autogrill
del milanese di un cittadino francese la cui colpa era indossare la Kippah
ebraica, durante la fila per portare al cesso il figlio di sei anni, colpevole
a sua volta di non volersi fare la pipì addosso. Lascio a chi legge indovinare
il perché di una vicenda che definire “di merda” sarebbe un oltraggio alla
merda. Quello che indigna, però, non è la medesima sostanza organica della
quale sono composti i quattro, o cinque, coraggiosi paladini di giustizia che
si sono distinti in questo nobile gesto, sicuramente fatto per salvare i
bambini di Gaza. Bensì la merda, inodore e incolore, proveniente da quella fila
composta da decine di altre persone, parimenti colpevoli della medesima inerzia,
che ha consentito che questa storia potesse accadere di nuovo. Dopo pochi
decenni dall’inerzia che ha portato all’orrore dei lager, oggi riproposta da
gente che magari quando va al cinema piange. Incapace di riconoscersi nella
parte sbagliata, tra le comparse dei film come “La lista di Schindler”. Mattia
Feltri, nel suo odierno Buongiorno, ha ricordato la stagione - che si
credeva ormai eterna – del linciaggio morale da cui veniva colpito, chi avesse
usato il termine “ebreo” come insulto. Cosa che mi ha evocato un ricordo d’infanzia,
quando alla metà degli anni ’60 vivevo ancora nella nativa Liguria, distante
poco più di vent’anni dalla fine dalla seconda guerra mondiale. Tempi nei quali,
per chi non leggeva né libri, né stampa, l’informazione di massa la facevano i
film. Specie quelli di seconda e di terza visione. Una quantità di pellicole
belliche in bianco e nero di cui mi nutrivo e da cui imparavo la Storia, dove i
soldati tedeschi – e soltanto loro - venivano rappresentati sotto uno stereotipo
di belve sanguinarie. Reso ancora più evidente dalla strumentalizzazione della già
rude pronuncia teutonica, proposta sempre e solo con toni e volumi da fare accapponare
la pelle. A formare così un pregiudizio nei confronti dei nostri ex alleati di
guerra (e di leggi razziali), che in tutti noi – soprattutto gli adulti ancora memori
diretti dell’occupazione nazista - è comunque durato per molti anni a venire. Eppure,
mai mi è capitato di veder rincorrerIe per strada al grido di “assassino, tornatene
a casa”, anche uno solo di quei tanti turisti che ogni estate oltrepassavano il
Brennero, per invadere pacificamente la riviera di ponente. Come pure mai mi è
capitato di sentire di famiglie tedesche cui è stato rifiutato l’ingresso al
bar. E ancor meno ho memoria – in quel tempo a minore distanza di oggi, rispetto
alla Shoah - di bandiere giallo-rosso-nere bruciate, di Uber alles
fischiati, o di esclusioni delle nazionali tedesche da manifestazioni sportive.
Impensabile, infine, di annullare un concerto solo perché lo dirigeva Von
Karajan. Non si trattava di empatia, né di paura e neppure di interesse
economico. Bastava la capacità oggi perduta di saper distinguere la responsabilità
indiretta di un popolo (che nel caso attuale di rinnovato “inconsapevole” antisemitismo
nostrano, non esiste neppure), da quella politica e criminale di chi quel
popolo lo aveva governato. La sola nota per una volta intonata, in questo
episodio di ordinario squadrismo, è la condanna immediata e inappellabile del
gesto, da parte di una classe politica finalmente unita senza distinguo e, per ora, senza neppure bisogno del morto. A trasformare nel sangue una storia, che resta invece soltanto una vicenda di merda.

Commenti
Per non parlare delle "belle tedesche", cacciatrici e prede, che tanto si prodigarono per allietare le estati del maschio italico.
Al massimo il biasimo si esprimerva nel criticare (bonariamente) il pessimo gusto nel vestire di quelle un po' rozze estivanti orde teutoniche.
Non potevamo essere ostili perché accumunati nella stessa colpa e, soprattutto, perché pecunia non olet.
I Tedeschi però hanno imparato la lezione e rimangono saldamente filoisraeliani, mentre gli Italiani "brava gente" si permettono il lusso di riscoprire il loro antisemitismo latente e mai sopito.
Mentre accolgono con entusiasmo i nuovi ricchi del continente, i Russi, che tanto si prodigano per ristabilire il diritto umanitario in Ucraina.
Nadia Mai
Alla domanda 'in che misura ogni cittadino (concetto politico) di uno Stato democratico sia corresponsabile dei crimini di tale Stato', non c'é infatti risposta univoca, essendo un tale Stato e le sue azioni, per natura giuridica, l'espressione della volontà della maggioranza dei cittadini. Pertanto ogni singolo cittadino può esserne moralmente responsabile o meno, a seconda delle proprie convinzioni politiche.