Senso vietato
C’è un filo conduttore che attraversa le cronache di questi giorni. L'orrore. È questo il termine più utilizzato da media e commentatori per definire la vicenda – orrenda – accaduta a Sulmona, in Abruzzo, venuta alla luce in queste ore e che ha visto protagonista una ragazzina dodicenne, adescata da un coetaneo e violentata ripetutamente insieme a un altro ragazzo appena maggiorenne, per poi postare le squallide imprese sui social. Otto anni, invece, è l’età del bambino preso a sprangate (!) da altri ragazzini più o meno della stessa età, mentre festeggiava il compleanno in un parco di Roma. Il tutto a poche settimane di distanza dall’omicidio stradale avvenuto a Milano, quando altri quattro bambini hanno travolto e ucciso un’anziana investendola sulle strisce pedonali, mentre fuggivano a bordo di un’auto appena rubata. E a non a troppi mesi da quando un’altra ragazza poco più che bambina (14 anni!) è stata uccisa a pietrate, in Campania, dall’ex fidanzato (!). Si potrebbe continuare in questo abisso d’orrore, fino a cadere nella banalità delle messe dette e ridette di una società culturalmente allo sbando, di politiche sociali inadeguate, di un sistema scuola famiglia inesistente e di un assoluto senso di impunità, prevaricazione e incoscienza alla base di un degrado morale che sembrerebbe ormai inarrestabile. Orrori, invece, che interessano una banalità ancora più grave: il senso delle parole che non hanno più senso e la rassegnazione che si trasforma in accettazione routinaria, fino a rendere le vittime spesso carnefici di sé stesse. Ne sanno qualcosa le fan di Megan Thee Stallion (foto), giusto per fare un esempio di rapper (o trap, come precisano i puristi del genere), che si distingue per i suoi testi talmente sessisti, da far vergognare i colleghi maschi. «Sono colei che ogni moglie negra teme – inizia, contenuto, il suo emblematico Scary (tr. Da paura!) - un incubo con la pancia grossa. Sono il tipo di ogni negro – prosegue con malcelata modestia, per poi subito sentire l’esigenza di chiamare le cose con il proprio nome - Gioielli così freddi, fanno venire la pelle d'oca a queste puttane al verde (…) Queste puttane vorrebbero vedermi quando si guardano allo specchio – e ancora, per chi non avesse capito - Ogni volta che esco fuori, faccio paura a voi zoccole (…) Ogni volta che spunto fuori, fa paura a voi puttane – per concludere, in quell’irrefrenabile esigenza di mettere ogni cosa al suo posto - Metto i negri in ginocchio, metto le puttane in piedi – ma non senza prima aver lasciato ai suoi fan anche un dettagliato riferimento curriculare - Sono una cagna, un asso di picche quando piscio». Roba da fare intervenire la magistratura? Per carità, il caso potrebbe essere affidato a Paolo Gallo, il giudice torinese che ha mandato assolto dal reato di maltrattamenti un pover’uomo colpevole soltanto di aver pestato la ex moglie per sette minuti consecutivi soltanto, sfondandole soltanto il volto a calci, per la cui ricostruzione le sono state impiantate soltanto ventuno placche al titanio e facendole perdere la vista soltanto da un occhio e soltanto da vicino. E in effetti, come motivato in sentenza, si è trattato soltanto di uno «sfogo (!) d’ira dell’imputato, che deve essere correttamente (!) inserito nel suo contesto». Esatto. Anche la signora, del resto, va detto che ce l’aveva messa proprio tutta per irritarlo. Voleva addirittura «sfaldare un matrimonio ventennale». E senza neppure mettere in conto, l’incosciente, che così facendo avrebbe potuto scatenare in quel sant’uomo una reazione violenta, ma che fortunatamente (tu pensa se s'incazzava), si è risolta soltanto in – uno sfogo riconducibile alla logica delle relazioni umane». Tutto giusto, anzi giustissimo, fatta salva la condanna inflittagli. 16 mesi e pena sospesa. Un giudizio - diciamocelo - che per una cazzata del genere, andrebbe definito a dir poco scandaloso.

Commenti
Rosario Failla