Me ne ha date, ma gliene ho dette…
Dunque, dove eravamo rimasti? Ah sì, è vero: che la giovane “linfa vitale” del Partito Democratico – per voce della segretaria nazionale Elly Schlein – doveva «mangiarsi» i vecchi arnesi interni del passato. Una rottamazione bis, quindi, ma senza né l’intelligenza politica (e forse non soltanto politica), né tantomeno la visione di Matteo Renzi. Risultato? L’Italia dei Territori, ossia le regioni, fatta salva la più o meno neutrale Valle d’Aosta, guidata da una compagine autoctona denominata non a caso “Unione valdostana”, vede assegnate dagli elettori al medesimo centrodestra che guida il Paese ben tredici Amministrazioni regionali. Un elettorato sempre più in caduta libera per quanto riguarda l’affluenza al voto, che ha consentito invece di conquistare alla compagine più scalcagnata nella storia del centrosinistra soltanto sei regioni, peraltro già di suo storico appannaggio. Due delle quali, tuttavia, ossia la Campania e la Puglia (dopo già le altre, oggetto delle precedenti recenti votazioni amministrative), conquistate lo scorso fine settimana da arnesi a dir poco vecchissimi della politica legata all’ex Partito Comunista Italiano. Terra di Pulcinella compresa (se non addirittura soprattutto), dove mai come in questo caso il neo governatore grillino Roberto Fico - pur sottraendo di fatto una ulteriore regione ai (nuovi) Dem – è stato la foglia di fico per chi della sua strepitosa vittoria è stato l’artefice vero: l’ex presidente Vincenzo De Luca, sotto le mentite spoglie del figlio Piero. Un trionfo del nepotismo politico di stampo a dir poco feudale, supportato nell’apoteosi di ciò che i 5stelle hanno sempre reputato come sterco del demonio, addirittura dalle truppe sempre fedeli al buon vecchio sindaco di Benevento (oltre che ex di 1000 altri incarichi a livello nazionale) Clemente Mastella. Un democristiano assoluto e intramontabile, comprensibilmente odiato (ma obtorto collo tollerato) da De Luca senior e da De Luca junior. Altra gente e altra pasta, con metri di pelo sullo stomaco in grado non solo di evitare di essere mangiati dagli epigoni della segretaria Schlein in formato baby, bensì di mangiarli invece loro in un boccone solo. Si parla di giovani senza curricula, o contenenti al massimo decine di incarichi di partito che ne attestano l’esclusiva idoneità – per citare Salvatore Merlo de Il Foglio – «A organizzare i festival dell’inclusione, frequentare i salotti televisivi, fare gli assalti a Emanuele Fiano all’università di Bergamo» e a farsi appunto battere dai sistemi territoriali che la Storia ha reso immutabili «come le piante grasse in appartamento». È il caso, per esempio, di Virginia Libero, pupilla di Elly, presentata come ipotetica vice presidente della regione Veneto. Segni caratteristici: pro Pal con Kefia d’ordinanza. Programma politico: fermare il genocidio a Gaza. Risultato elettorale: zero assoluto. Neppure entrata in Consiglio Regionale. Alla luce di questi dati e soprattutto dei malumori interni espressi sempre più apertamente da parte dei riformisti del Partito, a cominciare dallo psicodramma in corso sulla posizione da prendere sul prossimo referendum costituzionale riferito alla riforma giudiziaria voluta dal ministro Carlo Nordio, da Elly Schlein ci sarebbe stato da aspettarsi quanto meno un profilo basso. Figuriamoci. Incapace di distinguere, nell’arroganza che è tipica degli inconsapevoli, una vittoria piena da una mezza batosta, la conseguenza politica che ne ha tratto è quella di essere pronta a «governare» nel 2027. Da fare quasi tenerezza. O invidia a qualche comico, per la naturalezza con cui la segretaria del Pd recita senza saperlo il ruolo di quel signore che si beava delle botte prese da parte di un tizio, che lo riempiva appunto di sberle dopo averlo chiamato per nome: Pasquale. «Ma cosa c’è da ridere?» gli chiedeva esterrefatto l’amico, cui il malmenato raccontava l’episodio piegato in due dalle risate. «Ma come cosa c’è? – gli rispondeva sbellicato – io mica mi chiamo Pasquale».

Commenti
Altro che primo partito: oggi il vero vincitore è l’astensionismo, il famoso “partito del non voto”, e onestamente non si può nemmeno dargli tutti i torti
Il che mi fa dubitare della intelligenza assoluta di Renzi.
Ho capito che si trovava nelle sabbie mobili e si è aggrappato al ramo più vicino, ma non è detto che fosse il ramo più solido. Per di più tradendo quella parte di liberali veri che lo avevano seguito e sostenuto con lealtà e passione. È rimasto con un nugolo di renziani, ammirevoli per fedeltà, ma anche un po' fanatici e settari.
Peccato.
Nadia Mai