Una modesta proposta, per una questione mal posta

Immaginiamo che siano i bancari, o i dipendenti pubblici, oppure gli operai della Fiat. Immaginiamo che nelle ore centrali del giorno, il caldo per qualche motivo raggiunga – anche nei loro ambienti di lavoro - temperature reputate pericolose per la loro salute. Immaginiamo che i sindacati chiedano, per quell’orario, una sospensione obbligatoria delle attività lavorative. E immaginiamo, che quelle ore … non vengano retribuite, mentre i clienti delle banche, gli utenti degli uffici e le commesse della fabbrica continuano invece a richiedere i relativi servizi, come se nulla fosse. È questo ciò che sta accadendo per i rider – rigorosamente a partita Iva e quindi senza alcuna garanzia e meno che mai tutela - che consegnano i pasti in giro per le città assolate. Quale soluzione i sindacati chiedono appunto il blocco a costo zero per tutti (a guadagno zero per chi subisce il divieto), ma ovviamente le piattaforme non intendono assumersi l’onere economico a indennizzo dei ciclisti, bensì propongono loro offensivi incentivi a suicidarsi per pochi soldi, squagliandosi sull’asfalto, come al solito lo Stato è assente e, su tutto, spopola l’immancabile moralismo d’accatto che colpevolizza chi si fa consegnare il pasto a domicilio, o ancor più sul proprio posto di lavoro, considerato come esempio di pigrizia e vizio. Un’idiozia totale, tenuto conto che in un mercato liberale, chi fruisce di questo servizio – oltre a favorire la creazione di nuova occupazione, in aggiunta alla propria e a quello del ristoratore (il cameriere, aumentando la domanda, si riconverte in operatore di cucina) – perde meno tempo ed energie evitando viaggio e attesa, a guadagno di una pausa teoricamente più rilassata. Rimane il fatto, però, che i 40 gradi all’ombra (si fa per dire) delle ore 13 metropolitane sono reali e, l’ultima cosa che si vorrebbe, è quella di dover dare ragione alla CGIL, piangendo il coccolone di qualche giovane colpevole soltanto di lavorare come e quando può, al netto di una paga da fame. Ora, però, prendendosi la briga di effettuare un veloce giro sui mercati del web, non è difficile individuare i molti siti commerciali che promuovono abbigliamento protettivo dal caldo per ciclisti. Una serie di capi isolanti studiati apposta per coloro che in bicicletta trascorrono la maggior parte della giornata, sia per sport, sia appunto per lavoro e che, a occhio e croce, sembrano acquistabili con poche centinaia di euro. La proposta sindacale, pertanto, se non addirittura l’iniziativa diretta dei Ministri competenti per materia non potrebbe essere quella di un congruo bonus – una tantum - da utilizzarsi da parte dei lavoratori delle due ruote, esclusivamente per dotarsi di questo speciale vestiario termico? Un investimento pubblico oggettivamente modesto, ma di grande valore simbolico. Che riconoscerebbe quella dignità al lavoro in quanto tale, purché lavoro, su cui almeno in termini teorici sarebbe stata addirittura fondata la democratica Repubblica italiana. (Art.1 della Costituzione). 

Commenti

Anonimo ha detto…
Non ho seguito la vicenda. So solo che c'è stata la proposta di sospendere le consegne nelle ore più calde. Non so chi l'abbia fatta né quale esito abbia avuto. Lo scandalo è che la categoria, come altre, sia a partita Iva e non abbia nessuna tutela sindacale. Come per i lavoratori dei campi soggetti a caporalato, questa gente si arrabatta e rischia in proprio per, letteralmente, un tozzo di pane. Di chi la responsabilità? Del sistema, certo. Di una legislazione carente, dei sindacati che non proteggono le categorie minori perché non remunerative economicamente né sul piano della visibilità.
L'idea di un bonus una tantum per l'acquisto di indumenti idonei a proteggersi dal caldo mi sembra sacrosanta nonché un minimo di intento risarcitorio per i rider. Solo che, se viene da pochi privati cittadini anziché da chi ha potere contrattuale nelle istituzioni, resterà un benemerito, pio desiderio.
Nadia Mai
Fiorenza ha detto…
Quello dei riders non è da considerarsi lavoro, ma sfruttamento. Se ne vedono una marea, a ogni ora del giorno e della notte, macinando km sotto qualunque condizione climatica.
É per il profondo rispetto che nutro per queste persone che non mi sono MAI fatta portare nulla a domicilio (e MAI lo farò).
Purtroppo ormai si è talmente abituati a farsi servire in tutto e per tutto che immagino l'enorme fatica di alzare il culo e andarsi a prendere una pizza, la spesa,ecc... Come direbbe la saggia Sora Lella: "annammo bene, proprio bene!"
Maurizio Scordino ha detto…
È un lavoro duro ma è un lavoro che molti giovani fanno persino volentieri. Fare il lavapiatti in una mensa industriale, per esempio, ha lati addirittura peggiori. Spesso in 30 minuti di pausa pranzo muovere il c...orpo e fare la coda per ordinare e pagare, non lascia il tempo per pranzare. Va regolamentato, certamente, ma anche comprendo il senso delle tue parole, considero una forma di rispetto assai bizzarra quella di togliere di fatto il lavoro a una persona.
Anonimo ha detto…
Enrico.b
Anonimo ha detto…
Mi sono occupato per tanti anni di igiene e sicurezza sul lavoro e condizioni penose, e forse più, come quelle dei Raider di riscontrano solamente nei frutteti e nei campi di raccolta di frutta e verdura.
Quello della consegna a domicilio, per certi aspetti, è uno dei lavori emergenti anche se da qualche anno che se ne parla e si fanno rimostranze, si leggono pareri, si lanciano condanne, si inventano soluzioni, si sprecano parole, si implorano i Sindacati, si prega persino per quei lavoratori (ce ne fosse poi uno italiano), e poi regolarmente, ma siamo in Italia, continua le trafila del disagio (ora fa caldo poi fa freddo, tempi ridotti, mezzi sgangherati, nessuna sicurezza, il controllo sanitario degli "addetti" non si sa cosa sia, ecc. ecc.).
Abbiamo una normativa specifica, il D.Lgd 81/08, che tutela i lavoratori.
Perché invece di studiare tante norme atipiche, che in Italia diventano tipiche, non si provvede ad introdurre nella Norma un articolo, o comma specifico, anche di sole quattro righe a tutela di questi poveri ragazzi che si spaccano le gambe e a volte anchela testa, riportante come si deve svolgere in sicurezza e con igiene la loro attività ?
Caspita, siamo in Italia, è troppo semplice e nessuno ci guadagna!!
Enrico
Fiorenza ha detto…
Mah, io non credo che la maggior parte lo faccia volentieri; anzi, molto spesso è un ripiego in mancanza di meglio o perché non hanno alternative, per i più svariati motivi.
È assolutamente lungi da me l'idea di banalizzare o denigrare o togliere il lavoro a qualcuno; per cui la frase "forma di rispetto assai bizzarra" da te utilizzata la trovo decisamente fuori luogo.
Il vero grave problema è togliere la dignità delle persone, non valorizzandole e sottopagandole.
Maurizio Scordino ha detto…
La mia frase è conseguenza della tua. Se tu "per il profondo rispetto che nutri per queste persone non ti sei MAI fatta portare nulla a domicilio (e MAI lo farai)" deduco che i poveri rider abbiano un problema in più. Tutto li.
Anonimo ha detto…
Titolo simpaticissimo! La questione, un pó meno purtroppo. Per chi ama andare in bici e lavorare all’aperto, il rider non è affatto male come soluzione, a patto, OVVIAMENTE, che il gioco valga la candela (o la catena in questo caso). Ma essendo in Italia… è più facile sentirsi dire “hai voluto la bicicletta?…”

Da una parte sono consapevole che questo lavoro non “farà molta strada” (scusate ma quì i riferimenti ai modi di dire vengono spontanei) per via delle soluzioni high-tech (consegne via drone ecc) e perció il problema non si porrà per molto tempo ancora, con la speranza che questa celeberrima intelligenza artificiale migliori le condizioni di vita invece del contrario (si lo so: chi vive sperando… ) ma finché il lavoro viene svolto dalle persone non capisco perchè le compagnie che si occupano di asporto non investano sulla salute dei loro riders (riders felici = consegna veloce) e /o si associno ai servizi di biciclette elettriche disponibili in città, in modo da non far stancare troppo i bikers e ottenere così incentivi da offrire ai propri clienti (oltre che ai riders) per spostarsi in bici invece che in macchina, favorendo l’esercizio fisico e diminuendo l’inquinamento automobilistico.

Come al solito, le soluzioni ci sono, ma fino a che la mentalità rimarrà basata sul profitto, ho paura che dovremmo ancora “attaccarci al tram”… *cit Doc (“e fischi in curva” *cit Pier)

J.M.Z

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